Mentre cammino si spostano i luoghi. Giancarlo Dell'Antonia
Mostra a cura di Guido e Daniela Giudici. Galleria CONSARC CH
Testo di Riccardo Caldura. Direttore e docente Accademia di Belle Arti Venezia
Una paziente decostruzione dell’abitato per osservarne le componenti, separando le facciate dalle volumetrie, comprimendo quest’ultime in un gioco ad incastro fra superfici così da ottenere un collage a soggetto urbano che ha la levità di una composizione costruttivista.
Un po’ quello che accade in una cartella di grafiche concepita come un esercizio di educazione al vedere e al ricombinare: il racconto suprematista dei “Due quadrati” di El Lissitskij, dedicato a “Tutti i bambini del mondo”. Nei lavori di Dell’Antonia il passaggio fra descrizione fotografica di un mondo reale, ritagliato con l’accuratezza di un anatomista, e le intersezioni monocromatiche che rivelano la possibile composizione astratto geometrica del costruito, ha effettivamente un suo concreto avvio nella pratica di una deriva urbana che osserva, come se non li avesse mai visti, prima luoghi abitualmente vissuti. Non vi è niente di spettacolare nel tardo modernismo che struttura l’abitato delle nostre città; il ripetersi di tipologie architettoniche fra paese e paese rende difficile capire se si tratta di una città italiana, svizzera, tedesca etc. Queste forme ubique del costruito non permettono di distinguere nemmeno fra centro e periferia. Dell’Antonia, propedeuticamente, invita ad osservare quanto ci circonda, in una sorta di esercizio per adulti che ritrovino una capacità di sguardo in grado di avvertire il senso della scoperta possibile anche lì dove la relativa anonimia di quel che ci circonda ha smorzato da tempo la nostra capacità di attenzione. Sulla soglia fra abitudine e scoperta scorre la linea di attraversamento di luoghi che si modificano nel mentre li si osserva. Non succede apparentemente nulla, non si soffre di subitanee vertigini, ma qualcosa sembra perdere suolo se il nostro sguardo si concentra sulle forme delle cose. Da questo modo di osservare, che ha qualcosa del respiro per un momento trattenuto durante una pausa della nostra passeggiata, Dell’Antonia ricava delle immagini nelle quali una sequenza di anonimi balconi può assumere un inaspettato ritmo compositivo, dove le linee del costruito non si limitano a definire i profili degli edifici e dei loro particolari, come in un funzionale disegno d’architettura, ma si prolungano nell’aria generando morfologie che includono il vuoto come un elemento visivamente percepibile. Perché è il vuoto che permette di isolare le singole forme, di separare la loro ovvietà funzionale, decostruendola visivamente e con quei singoli elementi architettonici, che sembrano per un momento levarsi dal suolo come i frammenti costruttivisti di El Lissitsky, ricomporre un altro ordine possibile. Le immagini di Dell’Antonia esprimono un percepibile senso della misura e dell’ordine e in questo senso la sua narrazione dell’urbano, pur se fatta di elementi compositivi ben riconoscibili, in realtà è una descrizione astratta, o meglio ancora estratta, distillata dall’insieme delle forme presenti.
Una descrizione che letteralmente illumina il ritmo sotteso del costruito, il ripetersi delle sue morfologie e, grazie a questa ripetizione, genera un altro ordine possibile, una sottile differenza, inscritta nella realtà di un ambiente urbano. Ha qualcosa di metodico, di propedeutico il modo di lavorare di Dell’Antonia. Si cammina con la pacatezza del respiro di chi non ha fretta, di chi si dà il tempo di pensare a quel che sta guardando. Si può scattare eventualmente una fotografia, conservando così una concreta memoria visiva di quel che aveva colpito l’attenzione e che altrimenti andrebbe smarrito. Si avvia così ad un secondo percorso, non più attraverso il paesaggio esterno, ma fra quello che si genera dal disporsi su uno schermo dei file delle registrazioni fotografiche, e cominicia così il processo di rilevamento e di tracciatura grafica. Quella ritmicità che era iscritta nel percorso di attraversamento, osservazione ed eventuale registrazione degli spazi urbani, affiora nuovamente nella concentrazione analitica di un processo di ricomposizione formale, che coincide con una progressiva illuminazione delle possibilità iscritte in quegli elementi, ora immateriali, che appaiono sullo schermo o sul foglio. Come se le cose precedentemente osservate e rilevate venissero viste una seconda volta e quella luce naturale, che permetteva di vederle, ora fosse mutata, ma sempre di luce si tratta, e ora illuminasse pochi distillati, semplificati elementi; resi lievi perché non hanno più un suolo. Nel vuoto le immagini si ricompongono, i luoghi del reale trascorrono davanti ai nostri occhi, ma trasposti su altri piani, quelli compositivi e formali. La restituzione finale di questo affascinante processo di elaborazione è pur sempre un percorso, ora le pareti di un’esposizione. 
sichtbar.art ist ein kuratiertes Onlinemagazin für Fotografie und angrenzende Genres und richtet sich an eine anspruchsvolle, internationale Leserschaft, mit Interesse an Fotografie und Kunst. sichtbar.art ist werbefrei.
Ausstellung | Mentre cammino si spostano i luoghi - Giancarlo Dell'Antonia | Galleria Cons Arc | Chiasso
Incontro 1990
Francesco De Bastiani. Editore
A Vittorio Veneto, nel centro storico di Serravalle, c’è la piazza intitolata all’umanista poeta e scrittore Marcantonio Flaminio (1498-1550), ma per i vittoriesi è semplicemente piazza “dee piere” (delle pietre) così denominata per la sua pavimentazione in lastroni di pietra. Un lato della piazza è costeggiato dal fiume Meschio ed è proprio sul ponte che attraversa il fiume e che conduce alla piazza dal lato nord che un giorno, di circa trent’anni fa, incontrai Giancarlo appena rientrato da un periodo di lavoro in Germania. Era magro e indossava un paio di pantaloni bianchi, era esattamente l’opposto di come ero abituato a vederlo poiché Giancarlo è sempre stato di corporatura robusta e veste sempre di scuro. Ci salutammo e lui, come un fiume in piena, cominciò a parlarmi d’arte, della sua visione dell’arte contemporanea, del suo lavoro d’artista.
Lo ascoltai con attenzione; confesso che rimasi un po’ disorientato da questo impulsivo desiderio di esprimere il suo pensiero su un argomento che, evidentemente, gli stava tanto a cuore; fino ad allora la mia frequentazione con Giancarlo era stata limitata a qualche incontro casuale, a volte goliardico, con amici comuni ma, proprio per questo, mi meravigliai ed è la ragione per cui il nostro incontro, a distanza di molti anni, mi è ancora vivido nella memoria. Ciò che invece non furono casuali sono state le serate passate nell’osteria che lui aveva gestito alcuni anni prima.
Sì, perché Giancarlo è stato anche un oste... e che oste! Nel suo locale si trovava dell’ottimo vino e una grande varietà di gustosissimi cicchetti preparati a casa dalla sua mamma. Da buon oste non disdegnava di sedersi al tavolo con i suoi clienti per bere un bicchiere in loro compagnia (forse anche più di uno). A volte penso che quella di artista/oste sia una prerogativa della nostra città; nella prima metà del secolo scorso a Serravalle il pittore Delfino Venier Peo (1908-1963) gestiva un’osteria che era diventata il cenacolo di artisti trevigiani; qui, raccontano le cronache dell’epoca, davanti ad un fiaschetto di buon vino potevi trovare Juti Ravenna, Sante Cancian ed altri artisti che salivano dalla pianura fino a Vittorio Veneto per godere la compagnia dell’oste artista e bere un bicchiere di vino nelle calde serate estive rinfrescate dalla brezza che dai monti scende lungo la gola di Serravalle. Anche nell’attività di Giancarlo-oste l’arte era presente, lo era nelle nottate passate a discuterne con amici dopo aver accompagnato alla porta l’ultimo avventore e lo era nei suoi lavori esposti alle pareti; in particolar modo aveva attirato la mia attenzione una sua grande tela, alta forse due metri, coloratissima con tratti velocemente pennellati che, successivamente, non ho più visto nei suoi studi. I suoi studi. Di studi Giancarlo ne ha cambiati molti, possiamo dire che non c’è quartiere della città dove non abbia allestito e disfatto il suo studio e ogni trasloco era occasione per ritrovare lavori messi in disparte, quasi dimenticati, che gli procuravano nuove ispirazioni.
Fu negli anni successivi a quell’incontro, dopo il suo ritorno dalla Germania, che cominciammo, anche per ragioni professionali, a frequentarci con più assiduità. Ho potuto così seguire il suo percorso artistico, ho avuto il privilegio di veder nascere molte delle sue opere e sentire da lui le motivazioni che lo hanno spinto a quelle scelte.
Lascio ai curatori ed ai critici parlare dell’opera di Giancarlo, io voglio solo accennare a quelle che sono state le tappe del suo lavoro che mi hanno maggiormente coinvolto emotivamente. Ricordo le mani e i volti evanescenti dell’inizio degli anni 2000, il tema del paesaggio, sempre presente nelle sue opere, in “Prospetti combinatori, “Prospettive incerte”, “Paesaggio Sottile”, “Dove gli alberi finiscono” e poi, di grande impatto emotivo, “I miei infiniti alberi”. Dal connubio tra tecnologia e poetica, tra fotografia e grafica si sviluppa il lavoro di Giancarlo ed è dai suoi “Paesaggi scollegati” che nasce questa sua ultima esposizione “Mentre cammino si spostano i luoghi”. Credo che Giancarlo abbia ancora molto da dirci perché con la sua arte, che è anche pensiero politico, continuerà a parlarci del paesaggio, sia esso naturale o antropizzato aiutandoci, con la sua poetica, ad osservare il mondo che ci circonda.
Back to Top