Immagini di sintesi
di Riccardo Caldura
Di primo acchito le immagini di Dell’Antonia possono sembrare delle fotografie, ma il riferimento fotografico, cioè la registrazione di un qualche dato della realtà fisica —volti, posture del corpo, mani, piante— di quella realtà medesima sembra essere soltanto un’eco lontana. L’immagine fotografica scansionata elettronicamente costituisce la prima fase di acquisizione del lavoro, fungendo così da materia prima. La quale viene poi sottoposta ad un minuzioso trattamento, ridefinita attraverso l’uso del mouse che percorre gli orli dell’immagine ingrandita in ogni suo particolare sulla superficie di uno schermo ad alta definizione. Un lavoro che ha delle affinità con gli interventi di chirurgia estetica, e con quel definire la materia proprio più della scultura che della pittura.
Nella maggior parte dei casi il lavoro di Dell’Antonia si concentra sulla ridefinizione del volto, sottoponendolo ad un trattamento di bellezza e allo stesso tempo anonimizzandolo. Le originarie immagini fotografiche dei volti —tratte da riviste oppure da proprie raccolte d’archivio— subiscono un processo di riappropriazione artistica, che le perfeziona ultraesteticamente grazie a canoni formali di ascendenza neoclassica. Questo processo di raffinamento raggela l’immagine dei volti, li rende immobili, volti di statue, o meglio volti di corpi che si stanno per trasformare in statue. Se bellezza deve essere, sia allora quella che poteva trasparire da una Dafne sospesa per sempre da Bernini nel suo ramificarsi in alloro, oppure la levità senza tempo del volto della Ebe di Canova. La perfezione tentata via digitale da Dell’Antonia ha levigature virtuali, sfumati giochi d’ombra che ricordano gli effetti della luce sulla grana fine del marmo bianco di Carrara. Il restyling mira ad una assolutizzazione della bellezza sottraendo cioè occasionalità alle immagini fotografiche utilizzate inizialmente dall’artista; la bellezza avendo a che fare non con quel che è soggetto a mutamento (il singolo volto, l’individualità), quanto piuttosto con la perfezione di ciò che non muta (dunque il minerale, il marmo). La ricerca di questo nucleo di bellezza, lungo la storia dell’arte, ha prodotto una serie di tentativi, di volta in volta neo o neo-neoclassici, in una sovrapposizione di riferimenti al classico come condizione remota, di sfondo, materia prima essa stessa a costituire una canonicità della reppresentazione del volto e del corpo umani, sottoposta di epoca in epoca a nuovi trattamenti di tipicizzazione e perfezionamento. Thorwaldsen che rifà neoclassicamente, cioè rigorizzandoli e abbellendoli, i volti delle statue del frontone del Tempio greco di Egina del V secolo a.C.; Leni Riefensthal che filma i corpi in movimento degli atleti alle Olimpiadi di Berlino del 1936 infondendo loro una plasticità greca; Tamara de Lempicka che richiama l’assieparsi di nudi muliebri in Ingres; Canova riletto fotograficamente da Mimmo Jodice. Esempi nei quali si viene focalizzando un’idea di bellezza astratta, fatta di volti dai tratti equilibrati, dalle epidermidi sulle quali la luce crea sfumature continue, come fosse acqua che scorre su sassi e li arrotonda, plasmandoli delicatamente. Ma in una pittura digitale, la luce non ha più alcunché di reale, non scorre su superfici, è la luce medesima ad essere simulata dal solo gioco dei pixel, disposti dall’accurato movimento del mouse. L’ultima neoclassicità è un puro prodotto di sintesi.
Il volto —soggetto ricorrente in Dell’Antonia— subisce un processo di serializzazione; l’insieme dei tratti che dovrebbero caratterizzarlo, in realtà si risolvono in un alfabeto minimale di forme tipicizzate. Le labbra dal disegno perfetto —quasi sempre chiuse, o appena semiaperte come a simulare un respiro o un inizio di conversazione— la delicatezza delle pinne nasali, gli archi sopraccigliari rendono appena distinguibile un volto femminile da uno maschile. La serializzazione del volto esprime dunque un’altra modalità della sintesi, quella propria dell’androginia. Anche le posizioni che i volti assumono nelle singole immagini hanno qualcosa di canonico: di fronte, di profilo, di tre quarti. Cioè le movenze possibili hanno qualcosa di prestabilito, come busti a ruotare su piedestalli girevoli che avessero degli arresti predisposti. Il numero dei volti che appaiono nelle immagini di Dell’Antonia, sottolinea ulteriormente questo aspetto seriale e combinatorio. Uno, tre, cinque, con l’alternarsi di vuoti dai neri profondissimi, fino al tutto pieno costituito dai soli primi piani dei volti. Come se questi si affacciassero ad una finestra, ma non con un movimento spontaneo, piuttosto secondo una sequenza prestabilita. Un lieve balletto meccanico di apparizioni. Nella catena di riferimenti neoclassicheggianti va certamente incluso anche il rallenty di Bill Viola.
Enigmatiche creature dai tratti iperregolari che osservano noi; abitanti loro di un mondo a due dimensioni fatto non di linee o di volumi, ma di una tessitura omogenea di punti-pixel. Dell’enigma comunicano una serissima parodia, non dicendo niente, e simulando un silenzio che non ha alcuna profondità: immagini di superficie. Più che una finestra, il tramite, la trasparenza, mediante cui questi volti appaiono sembra essere una vetrina. Inoltrepassabile. L’estrema vicinanza dei volti, il loro affiorare non implica alcun contatto o attraversamento possibile. La trasparenza della vetrina, l’immobilità superficiale delle posizioni dei volti non permettono mai a noi che osserviamo quelle immagini di andare oltre la superficie. Lo sfondo di là dai volti, quando questi non riempiono completamente la superficie, è nero, lucido, uno sfondo insondabile e allo stesso tempo senza alcuna profondità. Il nero simula una oltreità che si risolve in pura epidermide. Algida, come algidi e privi di espressione sono i volti.
L’immagine di sintesi di Dell’Antonia, il suo neoclassicismo, costituisce un esempio di come l’utilizzo della tecnologia si coniughi ad una negazione della corporeità, non meno che della singolarità dell’individuo. Immagini disincarnate, seriali e affascinanti proprio perché accuratamente angelicate. Vicinissime e remote, e artificiali come possono esserlo delle elaborazioni ottenute attraverso complessi programmi di grafica digitale, programmi che a loro volta sublimano il fare della mano nella movenza di un mouse. Una angelologia aggiornata che ricorda le atmosfere di film come “Gattaca”, o con la lentezza ipnotica delle performance corali di Vanessa Beecroft. La perfezione, l’ideale di bellezza che attraversa le esperienze delle arti occidentali, ideale del quale gli Angeli canoviani della Morte sono stati uno splendido esempio, riappare attraverso l’algido nitore di queste immagini. La perfezione estetica, ora, ha a che fare con l’immagine tecnologica. Nei volti di Dell’Antonia non vi è più un referente reale, quanto solo un residuo di umana riconoscibilità, che rende le sue figure ancor più lontane da noi. Almeno quanto riconoscibili nonché lontani da noi sono i volti di umanoidi appartenenti a qualche ramo estinto lungo lo sviluppo dell’homo sapiens. Il cui sviluppo ulteriore, attraverso queste immagini, sembra essere rappresentato da un angelo che si annuncia nel nitore di un restyling al computer.
Riccardo Caldura 2001
Synthesized images
by Riccardo Caldura
At a first glance the images by Dell'Antonia can resemble photographs, but the photographic reference, that is the recording of a fact of the physical reality —faces, body postures, hands, plants— is only a far echo of that reality. The first acquisition phase of the work is an electronically scanned photographic image, which acts as raw material. The image then undergoes a meticulous treatment, it is redefined using the mouse which moves along the edge of the image enlarged in each of its details on a high-definition monitor. A process similar to that of plastic surgery, and to the definition of matter peculiar to sculpture rather than to painting.
In most cases Dell’Antonia’s work focuses on the redefinition of the face, which undergoes a beauty treatment while being at the same time rendered anonymous. The original photographic images of the faces —taken from magazines or from personal records— undergo a process of artistic repossession, which improves them in an ultra-aesthetic way thanks to formal standards of neoclassical origin. This refinement process freezes the image of the faces, makes them still, faces of statues, or rather faces of bodies which are about to turn into statues. If it must be beauty, then let it be the beauty that could reveal itself in a Daphne forever suspended by Bernini in her branching into a laurel, or else the timeless lightness of the face of Canova’s Ebe. The perfection attempted with digital means by Dell'Antonia has a virtual smoothness, a soft shade impression recalling the effects of light on the fine grain of white Carrara marble. The restyling aims at making beauty an absolute ideal, by canceling what is occasional of the photographic images initially used by the artist, since beauty is related not to what is subject to change (the single face, individuality), but rather to the perfection of what is unchangeable (therefore the mineral, marble). The search for this core of beauty, in the course of art history, has given rise to a series of attempts, from neo to neo-neoclassical, in an overlapping of references to classic as remote condition, in the background: a condition which constitutes the raw material in creating the canon of the reproduction of the human face and figure, and has undergone with time successive new standardization and improvement treatments. Thorwaldsen who reproduces the faces of the statues of the pediment of the Greek Temple of Egine of the 5th century B.C. in a neoclassical manner, that is with exactness and enhancing their beauty; Leni Riefensthal who films the moving bodies of the athletes at the 1936 olimpic Games in Berlin infusing them with a Greek plasticity; Tamara de Lempicka who brings back the crowding of female nudes in Ingres; a photographic reading of Canova by Mimmo Jodice. Examples which give testimony of the focalization of an idea of abstract beauty, made of faces having well-balanced features, and skins on which light creates uniform shades, as if it were water flowing over stones and rounding them off, delicately shaping them. But in a digital painting light has nothing left of the real, it no longer flows on surfaces, and the light itself is simulated only by the play of pixels, arranged by the careful movement of the mouse. The latest neoclassicism is a pure synthesized product.
The face —recurrent topic in Dell'Antonia— undergoes a serialization process; the set of features which should characterizes it, actually is reduced to a minimal alphabet of standardized forms. The perfectly shaped lips —almost always closed, or barely open as to simulate a breath or the beginning of a conversation— the delicacy of the nose ala, the eyebrow, make a female and male face barely distinguishable. The serialization of the face is the expression of another form of synthesis, that pertaining to androgyny. There is something canonical about the positions of the face in each image: frontal, profile, and three-quarter. That is, the potential attitudes have something pre-arranged about them, as busts rotating on revolving pedestals having preset halts. The number of faces appearing in Dell'Antonia’s images, further highlights this serial and combinatorial aspect. One, three, five, with alternating deeply black empty spaces, up to the full image of the close-up of the faces alone. As if these were leaning out of a window, not with a spontaneous movement, but rather according to a set sequence. A light mechanical ballet of apparitions. In the series of neo-classical reference we must also include Bill Viola’s slow motion.
Enigmatic creatures with hyper-regular features observing us; inhabitants, they, of a two-dimensional world not made of lines and volumes, but of a homogenous texture of pixel-points. They communicate a very serious parody of the enigma, not saying anything, and simulating a silence with no deepness: superficial images. Rather than a window, the medium, the transparency, through which these faces appear seems a shop-window. Uncrossable. The extreme closeness of the faces, their surfacing, does not imply any possible contact or crossing. The transparency of the shop-window, the superficial stillness of the faces’ positions, never allow us observing those images to go beyond the surface. The background beyond the faces, when they do not fill the surface completely , is black, shiny, an unfathomable and at the same time depthless background. Black simulates a beyond which dissolves in pure skin. Algid, as algid and expressionless as the faces.
The synthesized image by Dell'Antonia, his neoclassicism, is an example of how the use of technology is combined with a negation of the corporeity, as well as of the uniqueness of the individual. Disincarnated images, serial and fascinating exactly because of their being so accurately angelicized. Very close and very remote, and artificial as the processing obtained by means of complex programs of digital graphics can be, programs which, in turn, sublimate the action of the hand in the movements of a mouse. An updated angelicization which reminds us of the atmospheres of films as "Gattaca", or having the hypnotic slowness of Vanessa Beecroft’s choral performances. The perfection, the beauty ideal that runs through the Western arts experiences, ideal beautifully exemplified by Canova’s Death Angels, reappears in the algid clearness of these images. Aesthetic perfection, now, is related to technological image. Dell'Antonia’s faces do not have a real referent, rather a vestige of human likeness, which makes his figures still more far from us. At least as recognizable and remote from us as the faces of humanoids belonging to some extinct branch along the development of the homo sapiens. The further development of which, according to these
images, seems to be represented by an angel announcing itself in the clearness of a
computer restyling.
Riccardo Caldura 2001
traduzione di Luisa Piussi